Intervista su Khanbaliq
09/dic/2014

A pochi mesi dall'uscita del volume, il prof. Giuseppe Buffon risponde ad alcune domande su Khanbaliq, pubblicato da Edizioni Antonianum nella collana Medioevo.

La presenza francescana in terra di Cina nel Medioevo è uno degli argomenti del suo libro. Molte cose sono state scritte: dal suo studio emergono delle novità?

Lo studio affronta l’analisi di una serie di opere storiografiche finora perlopiù ignorate dagli studi sulla storia francescana, come anche da quelli sulla stessa storia dell’oriente missionario, condotta in gran parte su fonti gesuitiche, prodotte specificamente a scopo propagandistico. Gli stessi fautori dell’erudizione storiografica, avviata alla fine dell’Ottocento con epigoni ancora negli anni cinquanta del XX secolo, si sono rivolti a questo genere di opere con il solo obiettivo di fare incetta di dati, usufruendone cioè quali meri contenitori di notizie. Nuova non è però solamente la scelta delle fonti bensì anche quella della prospettiva metodologica. L’ottica entro la quale è stata applicata l’analisi della suddetta storiografia è infatti quella dello spazio, inteso quale categoria missionaria per eccellenza, cioè quale mandato per l’annuncio del messaggio cristiano fino agli estremi confini della terra. Al riguardo, la tesi di fondo mira a proporre considerazioni sulle modalità, sugli ambiti e sui contesti che hanno fatto da cornice a una interpretazione del locus sinis quale finis terrae, meta ultima del mandato apostolico, che si rinnova ad ogni generazione.

Al funerale di Giovanni da Montecorvino, primo vescovo di Khannaliq, accorsero molte persone che lo consideravano un santo: perché il culto non si è sviluppato come invece nel caso di frate Odorico da Pordenone?

La risposta a questo quesito può essere assai banale e allo stesso tempo molto complessa. Odorico da Pordenone viene venerato come santo anzitutto perché muore entro i confini della cristianità, dove il culto dei santi è pratica consueta e ne è sufficientemente agevole la diffusione. Inoltre, sulla tomba di Odorico da Pordenone avvengono dei miracoli che permettono facilmente un suo inquadramento entro il modello consueto del santo taumaturgo. In effetti, Odorico non viene venerato in quanto missionario, evangelizzatore, bensì in quanto taumaturgo. La sua esperienza in Oriente, le difficoltà affrontate nel viaggio, il suo ruolo di osservatore e mediatore di notizie sull’Oriente a favore di un occidente ancora ignaro sono elementi che non trovano collocazione alcuna nel quadro della sua santità. L’Odorico dell’Oriente non interessa alla fede, interessa solo ai cartografi, ai geografi, ai mercanti che solcheranno quegli spazi sconfinati alla ricerca di nuovi commerci. Da tutto ciò si può già comprendere il motivo per il quale Giovanni da Montecorvino, che muore in quell’estremo oriente diventato ormai quasi irraggiungibile, che non compie miracoli ma che viene venerato unicamente perché punto di riferimento quale fondatore di una chiesa agli estremi confini della terra, traduttore e mediatore culturale tra i vari khan mongoli, e tra questi e le chiese orientali di Armenia e Cilicia, non può ricevere un trattamento pari a quello riservato al pordenonese.

Per quali motivi per alcuni decenni vi fu un silenzio a proposito di una figura tanto importante?

Al riguardo, giova ricordare che Giovanni si differenzia non solo da Odorico da Pordenone bensì anche da Tommaso da Tolentino, lui pure missionario in Asia, morto proprio mentre percorre le piste indiane sulle rive del Golfo Persico, per portarsi a Khanbaliq, in aiuto al confratello vescovo. Giovanni, infatti, a differenza di Tommaso non è martire. E in effetti questo è un dato fondamentale! Il riconoscimento delle virtù missionarie giunge, infatti, soltanto con la missione nelle Americhe, quando ormai il Motecorvino è stato dimenticato. La mancata canonizzazione del fondatore della chiesa in Cina non dipende quindi dalla sua scarsa virtù, bensì dall’originalità del modello di santità da lui incarnato, quello di vescovo missionario. Quando infatti all’inizio del XX secolo si concepisce di nuovo la missione sul modello di quella apostolica, quale impalatio ecclesiae, allora soltanto si tenta di rivalorizzare anche la santità di Giovanni da Motecorvino, dando inizio alla ricerca di documentazione a conforto delle sue virtù eroiche. Ma la storia, per effetto di una cristianità occidentale troppo sbadata e troppo autoreferenziale, ha ormai cancellato molte delle tracce della sua santità!

Giuseppe Buffon, dottore in storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana e in scienze storico-religiose presso la Ecole Pratique des Hautes Etudes, è professore ordinario di storia della Chiesa moderna e contemporanea presso la Pontificia Università Antonianum.

Direttore della rivista Antonianum, membro della Commissio Sinica dell'Ordine dei Frati Minori, collabora con la Catholic Historical Review, la Revue d’Histoire Ecclésiastique, la Revue Mabillon e la Rivisita di Storia della Chiesa in Italia.

È autore di: Les Franciscains en Terre Sainte (1869-1889). Religion et politique: une recherche institutionnelle, Cerf, Paris, 2005; Tra spazio e territorio: la missione francescana in età moderna, Porziuncola, Assisi, 2006; Un altro francescanesimo: francescane missionarie da Gemona a New York tra immigrazione e servizio sociale, EBF, Milano, 2009; Storia dell’Ordine francescano: problemi e prospettive di metodo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2013.

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